Le norme del Decreto Agosto sul prosieguo della cassa integrazione Covid, sugli incentivi per i datori di lavoro che scelgono di non avviarla e quelle sulla proroga del divieto di licenziamento, diciamo che non brillano certo per chiarezza.
Non so se sia vero, ma ricordo di aver letto da qualche parte, non mi sovviene più dove, qualcosa del tipo “succede quando si scrivono i decreti sotto dettatura sindacale"; concludeva poi l'ignoto: "i sindacalisti hanno il cervello a forma di labirinto”.
Un po’ forte, ma mi pare renda bene l’idea.
Fa eccezione a tutto questo, la nuova norma sulla acausalità dei contratti di lavoro a termine. Quella norma, cioè, che apre una voragine dentro il decreto (cosiddetto) dignità.
Per una volta, per una norma, pare che il governo abbia infatti cambiato penna. Ed ecco che finalmente abbiamo una norma, tutto sommato, chiara e comprensibile.
Anzi, più che tutto sommato, direi tutto sottratto.
Sì, tutto sottratto. Perché la nuova penna governativa sottrae alla vecchia norma del Decreto Rilancio gli aspetti più incomprensibili e variamente interpretabili, lasciandoci, appunto tutto sottratto, una norma pulita e senza fronzoli:
via il riferimento al “per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all'emergenza epidemiologica da COVID-19”, così anche i dubbiosi di professione non potranno più dirci che la acausalità in realtà è una nuova causale;
via l’inciso “fino al 30 agosto 2020”, quella data di fine contratto o di stipula che non si è mai capito (senza dire che agosto ne ha trentuno);
via “i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020”, quell'altra data che poneva un limite incomprensibile, non nella forma ma nella sostanza;
[e, già che la penna c’era, via la proroga automatica, quella norma folle e per i più incostituzionale, che obbligava invece di dare una facoltà].
Ora la nuova norma sulla acausalità dice che:
può essere utilizzata su tutti i contratti di lavoro a termine;
per rinnovi o proroghe;
una sola volta;
entro fine anno;
per un massimo di dodici mesi;
nel rispetto dei ventiquattro mesi di durata massima.
Per alcuni mancherebbe l’inciso “anche in regime di somministrazione”, al punto da far dubitare sull'applicabilità della norma alla somministrazione di lavoro.
Credo, invece, che anche questo “sottratto” sia utile e salutare e che l’applicabilità della nuova norma sulla acausalità anche ai contratti di lavoro a termine a scopo di somministrazione sia indubitabile. Le Agenzie per il lavoro, infatti, non sono degli UFO e quando assumono a termine, soprattutto dopo il decreto (cosiddetto) dignità, assumono come un datore di lavoro “ordinario”. Se tocca la causale la mettono, se la causale è tolta non la mettono. Diversamente, permettetemi, sarebbero cornute e mazziate.
Diverso è il caso, come per i divieti, quando l’oggetto del contendere non è il contratto di lavoro ma il contratto commerciale. Lì la somministrazione deve essere citata per forza. Bene, quindi, utile e salutare appunto, la mancanza (qui sottrazione) di questo inciso nella norma sulla acausalità.
Che sia di buon auspicio per il futuro, così da non doverci più domandare: “urca, stavolta manca, ma allora si applica o meno ai contratti di lavoro in regime di somministrazione?”. Perché è certo che si applica, sempre, che quei contratti non sono mica figli di un Dio minore.
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