Il 24 marzo 2021, nell’audizione presso il Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, nella descrizione del paradigma della disabilità l’ISTAT ha rimarcato che “la letteratura scientifica ha mostrato, del resto, come gli elementi di fragilità che possono limitare lo sviluppo e il progresso sociale degli individui sono molteplici e dipendono in larga misura dalla società e dal contesto in cui sono collocati, un’evidenza da tenere in massima considerazione quando ci si approccia alla misura della condizione di disabilità”.
Il concetto risulta rafforzato nella sua nuova dimensione dall’approvazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di una nuova classificazione della disabilità (la International Classification of Functioning, Disability and Health - ICF -), non più concepita solamente come una riduzione delle capacità funzionali determinata da una malattia o menomazione, ma come la risultante di una interazione tra condizioni di salute e fattori contestuali (personali e ambientali).
La disabilità è definita come “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo”. Proprio facendo riferimento alla concettualizzazione dell’ICF, nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità si afferma che “Le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri”.
Sempre l’ISTAT, nel rapporto “Conoscere il mondo della disabilità – Persone, relazioni e istituzioni” del 2019, ci ricorda che “non è stato ancora elaborato uno strumento statistico condiviso in grado di descrivere l’interazione negativa tra salute e contesto sociale dalla quale scaturisce la disabilità e ciò rende difficile individuare in modo rigoroso e coerente con questa impostazione, le persone con disabilità”.
Nello stesso documento è indicato che, in Italia, le persone che a causa di problemi di salute soffrono di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali sono circa 3 milioni e 100 mila (il 5,2% della popolazione). Quasi 2 milioni sono over 65 e quasi 1 milione e 900 mila sono donne.
Se si aggiungono le persone che dichiarano di avere limitazioni non gravi, il numero totale di persone con disabilità sale a 12,8 milioni, il 21,3% della popolazione.
Considerando la popolazione in età lavorativa (15-64) anni, risulta occupato solo il 32,2% contro il 59,8% delle persone senza limitazioni. La percentuale peggiora in alcuni territori: nel Mezzogiorno solo il 18,9%. Tra gli occupati, il 49,7% è impiegato nel pubblico.
Nel gennaio scorso il Ministero del Lavoro ha presentato la Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, realizzata da Ministero e INAPP. Si tratta della IX Relazione, riguarda il triennio 2016-2018 (anche se la legge prevede una relazione ogni due anni) e fornisce lo scenario più aggiornato del sistema del collocamento mirato in Italia precedente all’attuale pandemia.
Gli iscritti all’elenco del collocamento mirato sul territorio nazionale, nel 2018, risultano oltre 900 mila, nel 2006 erano 700 mila. Oltre il 50% degli iscritti termina il proprio percorso scolastico con la scuola dell’obbligo e arriva ad avere al massimo la licenza media o la qualifica professionale.
Nel 2018 gli avviamenti al lavoro sono stati circa 40 mila, il 57% con contratto a tempo determinato, il 21% con contratto a tempo indeterminato e il 22% con altre tipologie contrattuali. Solo il 4% delle assunzioni avviene nelle amministrazioni pubbliche.
La relazione rileva che in Italia sono occupate 360 mila persone con disabilità, il 32,6% nel Nord Ovest, il 23,7% nel Nord Est, il 22,3% nel Centro ed il 21,4 nel Sud e Isole.
Le fragilità del nostro mercato del lavoro sono ulteriormente amplificate quando si parla di occupazione delle persone con disabilità. La loro inclusione professionale e sociale richiede un cambiamento culturale, che tenga in considerazione la necessità di separare la persona dalla disabilità e l’obiettivo di valutare le competenze oltre gli stereotipi.
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