In origine lo smartworking, è fatto notorio tra gli addetti ai lavori, era utilizzato (quasi) solo in Microsoft. Anche senza una specifica normativa, il lavoro in team coi colleghi sparsi in ogni angolo del Mondo, il lavoro per obiettivi senza nessun cartellino da timbrare o badge da passare, il lavorare dove e quando vuoi e, quando sei in azienda, senza nessuna scrivania a te dedicata in ufficio, lì era la regola.
Nel frattempo, invece, altre aziende ci provavano con il telelavoro, cioè con il lavoro da casa (homeworking per mantenere l’inglesismo, che se no sei out). Con mille difficoltà, però, derivanti da una normativa obsoleta. Tra tentativi di accordi sindacali e - soprattutto - tra mille difficoltà, adempimenti e timori in tema di salute e sicurezza sul lavoro, che pareva si dovesse accendere una pericolosissima centrale nucleare.
Poi, giugno 2017, venne la legge. Scartata per volontà esplicita la necessità di intervento obbligatorio da parte della contrattazione collettiva, fulcro della legge sul lavoro agile (lo smartworking nella nostra lingua natia) è il contratto individuale tra datore di lavoro e lavoratore. Nuova possibile modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato (non autonomo eh), con obiettivi, senza vincoli di orario e di luogo di lavoro, con lo scopo di incrementare la competitività delle imprese e agevolare la conciliazione vita e lavoro. In accordo tra le parti (datore e lavoratore), dice la legge, si definiscono i vari elementi di come si esegue il rapporto di lavoro agile (potere direttivo, di controllo, disciplinare, diritto alla disconnessione). Un accordo che si basa per tutta la sua durata, a mio parere, sul rapporto di fiducia tra manager e lavoratore. Con la possibilità che il manager possa differenziare, tra le “sue” persone, le modalità dello smartworking fino ad arrivare a proporlo ad alcuni suoi collaboratori e non ad altri. E con la possibilità, essendo un accordo, che il lavoratore si rifiuti. Era lo SW FASE ante COVID-19.
Poi venne il covid-19 con il suo lockdown e lo smartworking venne promosso, a colpi di dpcm, quale misura volta a contenere e contrastare la diffusione del virus. E, conseguentemente, divenne facilitato: l’accordo individuale non serve più e si semplifica anche sulla salute e sicurezza sul lavoro facendoci bastare una informativa uguale per tutti condivisa via email e reperibile sul sito INAIL. Molti hanno scritto che questo non è più lavoro agile ma è diventato un lavoro casalingo. Vero, fuor di dubbio, ma visto che è utilizzato da moltissimi e per un lungo periodo di tempo consecutivo, credo possa aiutare a costruire lo smartworking del futuro. Era lo SW FASE 1 COVID-19.
Ed eccoci alle riaperture delle aziende, con lo smartworking che resta sempre in auge. E meno male, aggiungo. Cito l’accordo sindacale FCA: “Per il personale chiamato a svolgere la propria prestazione lavorativa, continua a essere adottata – ove compatibile con l’attività richiesta - la modalità di lavoro agile, al fine di limitare la presenza di personale all’interno dei locali aziendali”. Primo accordo sindacale validato da un medico, il virologo prezzemolo Roberto Burioni. Ma ricordo anche Attilio Fontana, Governatore della Lombardia, che ha scritto una lettera al premier Giuseppe Conte chiedendo, tra l’altro, di insistere con lo smartworking. È lo SW FASE 2 COVID-19.
Ed ora il Rilancio (che, come sapete, è il nuovo nome del prossimo decreto legge, che coi nomi dei mesi non è andata gran bene). Lo smartworking evolve ancora. Non è più solo promosso e facilitato ma (pare, si dice, si mormora, si legge nelle bozze, semicit.) diventerebbe, fino alla fine dello stato di emergenza sanitaria, un diritto del lavoratore del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni. Naturalmente “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”. Del resto con le scuole ancora serrate senza nessuna ipotesi concreta di riapertura e con i nonni da salvaguardare, se i genitori lavorano fuori casa chi pensa ai loro figli? Sarà lo SW FASE 2 e rotti COVID-19.
Ora, mi piace chiudere con questa domanda: la vita è uno smartworking o gli smartworkng(s) aiutano a vivere meglio? (semicit.)
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