Alla fine, i due anticipatici – messisi assieme poco più di un mese prima delle elezioni – hanno fatto quasi l’8%. Tu pensa se fossero pure simpatici. Ora speriamo non si lascino trasportare dai personalismi e che il front runner capisca come passare il testimone al leader, restandogli comunque affianco, in modo che la lista elettorale possa diventare un vero partito riformista atteso da molti.
Il figlioccio di Bruno, dopo essere stato burattino capo politico, vicepresidente della Camera, vicepremier, ministro del lavoro e dello sviluppo economico e, da ultimo, ministro degli esteri, resta fuori dal Parlamento. Ha fatto l’errore di fondare un suo partito e quindi non ha potuto giovarsi del paracadute democratico. Ha perso malamente nel suo collegio, sconfitto da un suo ex compagno di strada pentastellata. Ora potrà beneficiare direttamente del suo reddito di cittadinanza e del suo decreto dignità.
Il professore parigino non ne ha azzeccata una. Scegli me, ha chiesto. È andata male, malissimo. Assieme ai Liberi e agli Uguali ha preso poco più del suo predecessore, figuriamoci senza. Il suo partito ormai ha esaurito il senso di esistere, quello sancito al Lingotto da chi oggi si è dato al cinema. Il rancore personale, suo e di colei che chiede Più Europa, non ha giovato a nessuno dei due.
L’avvocato del popolo dimezza i voti, ma tutti parlano di un suo successo. Ora però deve mantenere l’impegno e consegnare ai cittadini meridionali la seconda scarpa loro promessa. Non è esattamente in una situazione semplice.
La ragazza romana invece è stata bravissima, non c’è che dire. Con lei si conferma la regola, valida in tutta Europa, per cui è la destra e non la sinistra a portare una donna a capo del governo. Ha vinto bene, anche se non benissimo. Governerà per cinque anni se ne sarà capace e se l’anziano senatore di Arcore – sempre spaziale in campagna elettorale – e quel che resta del ragazzo padano glielo consentiranno. La Costituzione resterà tale e quale, tranquilli.
Ma il vero vincitore è stato il rosatellum. Legge elettorale approvata dalla più grande maggioranza parlamentare di sempre ma fin da subito figlia di nessuno. Grazie a questa legge (certamente perfettibile) la sera delle elezioni si è conosciuto subito il nome del premier (con il rispetto sempre dovuto al Capo dello Stato, s'intende) e la sua maggioranza. Basta aghi della bilancia e altre amenità italiche.
Ah, da ultimo si conferma che un Parlamento senza Pierferdi e Bruno non è cosa. Quindi rieletti entrambi, ancora sugli scranni a dirigere la baracca.
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