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Andrea Morzenti

Curare tutti


Il Decreto Legge n. 18/2020, Cura Italia, dopo i Visto e prima dei Considerato, si fonda in particolare su questo Ritenuto:

Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale, prevedendo misure […] di sostegno al mondo del lavoro pubblico e privato ed a favore delle famiglie e delle imprese”.

Io credo di debba partire da qui per capire il provvedimento, il senso e la sua logica (la ratio come direbbero quelli che parlano bene).

 

È un provvedimento con un forte impianto solidaristico che fa perno sulla responsabilità sociale d’impresa e che supera gli schemi del diritto del lavoro così come li abbiamo conosciuti fino ad ora. Ed è, a mio parere, sul superamento di questi schemi che l’interprete è chiamato a ragionare.

Impianto solidaristico che si basa sulla cassa integrazione per tutti. Senza impatti sulle procedure passate e future, senza alcun requisito di anzianità lavorativa e senza aggravi economici per le imprese. Non serve alcun accordo sindacale; è prevista solo la comunicazione e, dopo tre giorni, l’informazione, consultazione ed esame congiunto con le organizzazioni sindacali. Io non lo trovo così uno scandalo, come invece evidenziato da più parti. Andrebbe credo eliminato in aziende senza RSA/RSU interne ma, dove le rappresentanze dei lavoratori ci sono, è giusto e opportuno che ci si continui a parlare anche in epoca di coronavirus, anche in via telematica come prevede il decreto.

Resta invece poco comprensibile il meccanismo della cassa integrazione in deroga, subordinato - questo sì - ad accordi su base regionale con le organizzazioni sindacali.

La responsabilità sociale d’impresa, concetto che da tempo trova sempre più cittadinanza nelle grandi imprese, è rinvenibile in particolare nella norma – semplifico – che per 60 giorni vieta i licenziamenti per motivi economici (collettivi e per giustificato motivo oggettivo). Alcuni autori la ritengono incostituzionale perché limiterebbe arbitrariamente la liberta d’impresa. Io credo, invece, che dopo la limitazione delle libertà personali a mezzo di dpcm e ordinanze, dopo la sospensione delle attività commerciali (e, al momento in cui si scrive annunciato solo in diretta Facebook senza uno straccio di norma, anche delle attività produttive non essenziali), vista la contrazione delle attività produttive, con il Governo e le Regioni che ci chiedono di restare a casa, ecco io credo che questi 60 giorni siano una decisione saggia anche per evitare contraccolpi psicologici, oltre che economici, per lavoratori e famiglie.

Da ultimo, e senza entrare nel tema del lavoro autonomo che meriterebbe un lungo approfondimento a parte, vorrei però fare un appello. Perché anche questa volta, come troppo spesso accade, ci si è dimenticati delle scadenze contrattuali di chi ha contratto di lavoro a termine e di chi è impiegato in forza di un contratto di somministrazione a termine. A bocce ferme, la proroga di questi contratti potrebbe essere ritenuta in divieto in aziende in cui sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni. Perché dico “a bocce ferme”? Perché l’interprete, come scrivo sopra, a mio parere è chiamato in questo delicato momento a ragionare superando i vecchi schemi del diritto del lavoro, è chiamato a far scorrere le bocce per far punto e non solo per difendere i punti sicuri già messi in cascina.

Vero che le norme che disciplinano i divieti, di contratto a termine e di somministrazione, non sono state toccate dal Cura Italia. Ma ritengo debbano essere lette indossando le lenti del Cura Italia.

La proroga dei contratti consentirebbe ai lavoratori continuità occupazione e reddituale, possibilità di lavorare laddove sia prevista una sola riduzione d’orario, accesso al sistema di “cassa integrazione per tutti” per i periodi di sospensione o riduzione. È la ratio del provvedimento, come direbbero quelli che parlano bene. E garantirebbe alle aziende di poter contare su questi lavoratori, già formati, non appena questo brutto momento sarà alle spalle, senza doversi infilare nel ginepraio di una riassunzione con l’enigma ancora irrisolto delle causali del decreto cosiddetto dignità o dover selezionare nuovi lavoratori. Nessuna elusione, nessun utilizzo improprio di fondi pubblici, ma unicamente l’utilizzo di tali fondi per le finalità per le quali sono stati introdotti dal Cura Italia.

Nel contempo, per evitare ogni dubbio interpretativo, credo che il Parlamento in sede di conversione del Decreto Legge debba normare questo aspetto nel solco della ratio del provvedimento.

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