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E il riformar m'è dolce in questo mare

  • Andrea Morzenti
  • 11 mar 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

In Consiglio dei Ministri stanno pensando di approvare una serie di disegni di legge delega che, di fatto, svuoterebbero il Parlamento della funzione legislativa. Del resto, Davide Casaleggio ha già profetizzato che “il Parlamento in futuro forse non sarà più necessario”, un clic sulla Piattaforma Rousseau e via.

 

Tra i vari disegni di legge delega ce n’è uno, immancabile, sul lavoro. Una “delega per la semplificazione e il riassetto in materia di lavoro”.

“Aiuto! Un’altra riforma alle porte? Non ce la posso fare...”, mi sono subito detto, allarmato. E non credo di essere stato l’unico…

Cosa prevede la (possibile) delega? Ecco qua:

Finalità:

  • creare un sistema organico di disposizioni in materia di lavoro onde rendere più chiari i principi regolatori delle disposizioni già vigenti e costruire un complesso armonico di previsioni.

Princìpi e criteri direttivi:

  1. coordinare e armonizzare le disposizioni legislative vigenti, con modifiche volte a garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa, intervenendo mediante revisione dei codici unici già esistenti;

  2. adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo;

  3. coordinare il complesso di norme organicamente riunite in materia di lavoro anche con la disciplina europea di settore;

  4. indicare esplicitamente le norme da abrogare.

Princìpi e criteri direttivi specifici:

  • apprendistato: semplificare gli adempimenti in capo al datore di lavoro relativi agli obblighi di formazione;

  • razionalizzare le funzioni e i compiti amministrativi in materia di servizi per l’impiego, di collocamento mirato e di politiche del lavoro in capo al Ministero del lavoro;

  • razionalizzare il sistema informativo unitario delle politiche del lavoro;

  • valorizzare la funzione di monitoraggio svolta dal Ministero del lavoro;

  • razionalizzare e riorganizzare agenzie, enti o organismi che svolgono compiti in materia di servizi per l’impiego e politiche del lavoro.

  • [...]

Io non ricordo una delega così generica, a mio parere a rischio di incostituzionalità perché in violazione dell’art. 76 della nostra Costituzione: il Governo pare chiedere al Parlamento una sorta di delega in bianco. Chissà i costituzionalisti, chissà Gustavo Zagrebelsky & C., cosa ne pensano.

Intanto vedremo se davvero il Governo Conte andrà avanti su questo binario o - cosa che personalmente non credo - deraglierà prima sul Treno dell'Alta Velocità tra bandi e avvisi con cui sta cavillando invece che governare (la massima espressione, quest'ultima sulla TAV, della interlocuzione dell'Avvocato Azzeccagarbugli del popolo).

Il Pacchetto Treu (1997), la Riforma Biagi (2003), la Riforma Fornero (2012), il Decreto Letta/Giovannini (2013), il Decreto Poletti (2014), il Jobs Act (2015), il Decreto Dignità (2018). Riforme, più o meno organiche, ma via via sempre più ravvicinate che non consentono così di capirne impatti e risultati e di valutare i necessari possibili aggiustamenti.

Andavano però almeno tutte nella stessa direzione. Poi è arrivato il Decreto Dignità a riportare indietro le lancette della storia, con un innesto innaturale (cit. prof. Arturo Maresca) dentro il Jobs Act.

Al momento, non è sufficiente così? Siamo proprio sicuri di meritarci - davvero serve? - una nuova Riforma del Mercato del Lavoro? E se sarà, come passerà alla Storia? La chiameremo la “Riforma Di Maio”?

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