In questi giorni in cui, sempre di più, si parla tanto di Europa:
Emmanuel Macron coi gilets jaunes e il rapporto deficit/PIL sopra il 3% e il "perché loro sì e noi no?", parafrasando Luca Telese
la Brexit con una Theresa May in grande difficoltà
last but non least, la mitica manovra del governo gialloverde di Giuseppe Conte ora orientata al 2,04% - non dico nulla che è meglio - del rapporto deficit/PIL
a me sono tornate in mente due Direttive Comunitarie.
Eccole qui ("la prima e la seconda", questa la capiscono in pochi), un clic sui numerini per scaricarne il testo completo in italiano:
Direttiva 1999/70/CE, sul lavoro a tempo determinato (contratto a termine)
Direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia (lo metto tra parentesi perché a me non piace, interinale), in Italia la somministrazione di lavoro.
Sono due, le Direttive; non una.
Sono diverse, dalla prima sul contratto a termine è espressamente escluso il lavoro tramite agenzia.
L'Europa ci chiede infatti interventi normativi differenti. E questo perché le finalità degli istituti contrattuali trattati sono molto lontane le une dalle altre.
Ma in Italia, per dare dignità ai lavoratori e alle imprese, il governo gialloverde 2,04% di cui sopra, ha fatto un papocchio inenarrabile: il contratto a termine e il lavoro tramite agenzia sono, per Conte/Di Maio/Salvini, la stessa cosa.
Vediamo perché, invece, stessa cosa non sono. E vediamo perché il decreto che vuol dare dignità a lavoratori e imprese, recepisce a modo suo la prima Direttiva (in modo certo opinabile ma legittimo) e viola invece la seconda (in modo non opinabile).
Partiamo dalla Direttiva 1999/70/CE sul contratto a termine dove di dice che, "per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri [...] dovranno introdurre [...] una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti".
Ora, accertato che da nessuna parte si dice che la durata del primo contratto senza causale deve essere al massimo di 6 mesi (chissà il prof. Pasquale Tridico, consulente del Ministro Luigi Di Maio, dove l'avrà letto, mah), il testo pare chiaro nel dire che gli stati membri devono prevedere una o più misure (quindi non necessariamente tutte e tre) non per contrastare l'uso del contratto a termine in sé, ma per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di "troppi" contratti a temine tra stesso datore e stesso lavoratore.
E noi, in Italia, abbiamo sicuramente la lettera a) e la lettera b).
Abbiamo infatti la causale per ogni rinnovo [e, smentisco ancora il prof. Tridico, certamente una causale non attenuata: perché l'incremento dell'attività ordinaria deve essere temporaneo (e vabbè ce ne faremo una ragione), significativo (nessuno sa dire quale sia il gradiente) e non programmabile (di fatto impossibile)].
Ma abbiamo anche la durata massima totale in forza di più contratti, pari a 24 mesi. Ma possiamo dire di avere indirettamente anche la lettera c), visto il neo contributo aggiuntivo dello 0.5% previsto per ciascun rinnovo.
Insomma, un en plein!
E in più, per non farci mancare nulla, abbiamo anche la causale (sempre in forma non attenuata) se il primo contratto supera i 12 mesi di durata (misura questa non richiesta dall'Europa, checché ne dica il prof. Tridico). Un en plein al quadrato.
Possiamo quindi dire che le norme interne sul contratto a termine (post decreto cosiddetto dignità) sono certamente opinabili (scelta politica del governo gialloverde) ma rispettose della Direttiva comunitaria? A mio parere sì.
Ma a chi si applica la Direttiva sul contratto a termine? Si applica, lo dice la Direttiva stessa, "ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte di un'agenzia di lavoro (interinale, sempre tra parentesi)".
Ai lavoratori tramite agenzia si applica infatti la Direttiva 2008/104/CE che prevede che "i divieti o le restrizioni [...] sono giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi".
Perché queste differenze? Perché, la dico semplice, le agenzie non sono solo aziende che fanno utili, ma sono anche servizi per l'impiego. Perché le agenzie hanno un ruolo decisivo e una funzione pubblica nel mercato del lavoro. Perché le agenzie agevolano - devono essere messe nelle condizioni di poter agevolare - occupazione e rioccupazione dei lavoratori, in particolare chi da solo non ce la fa. Insomma, perché le agenzie non sono solo datori di lavoro, ma sono anche facilitatori (termine che preferisco a intermediari) dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Limitare per legge la successione di contratti a termine con lo stesso lavoratore, al pari di una azienda datrice di lavoro "normale", con le stesse misure, come fa il decreto cosiddetto dignità, limita gravemente il ruolo pubblico delle agenzie. E arreca danni alle agenzie, alle aziende, ai lavoratori. Insomma, al mercato del lavoro.
Immaginiamo semplicemente un lavoratore che dopo 24 mesi di contratto a termine con un'agenzia a favore di Alfa S.p.A. venga poi assunto da quest'ultima. Poi, per enne motivi, lo stesso lavoratore perde il lavoro presso Alfa S.p.A. e torna in agenzia. C'è una offerta di lavoro perfetta per lui, a favore di Beta S.p.A. Ma, avendo saturato il suo contatore di 24 mesi, presso Beta S.p.A., a lavorare tramite la stessa agenzia, non ci può andare.
Oppure immaginiamo un altro lavoratore che ha lavorato, tramite la stessa agenzia, due volte per Alfa S.p.A. e due volte per Beta S.p.A (che già trovare una causale per i rinnovi, prima in Alfa e poi in Beta, è stato un mezzo miracolo; agenzia e azienda hanno corso il rischio di finire davanti al Giudice del Lavoro, ma è andata). Contratti a termine, per esigenze spot, era uno studente affidabile; andavano bene a tutti, in quel momento, quei tipi di lavori, lui conosceva il mondo del lavoro mentre studiava, agenzia e azienda raggiungevano il loro obiettivo. Poi l'agenzia ha per lui, da laureato, una bella offerta di lavoro, presso Gamma S.p.A., "scopo assunzione", come si dice. Ma il nostro lavoratore sarebbe al quinto contratto con l'agenzia, sarebbe il suo quarto rinnovo, 2% di costo contributivo in più. E così Gamma S.p.A. chiede all'agenzia un altro lavoratore.
Ci perdono tutti, ci perde la dignità.
Ci devono essere dei limiti alla successione di contratti a termine anche per le agenzie per il lavoro? Sì, io dico di sì. Devono essere gli stessi limiti, le stesse misure, previsti per i contratti a termine "ordinari"? No, io dico di no. E dice di no, come visto, anche l'Europa.
Anche le agenzie per il lavoro devono assumere a tempo indeterminato? Sì, io dico di sì, convintamente. Ma lo devono fare per dare un senso al loro ruolo pubblico di servizi per l'impiego, per renderlo più incisivo, non per una imposizione di legge. E su questo tema un ruolo importante lo giocano, e lo devono giocare sempre di più, le parti sociali (organizzazioni sindacali e datoriali di comparto).
Funzioni e finalità diverse del contratto a termine e del lavoro tramite agenzia chiedono, impongono, regole diverse. Ce lo chiede l'Europa con due diverse e distinte Direttive.
Il decreto cosiddetto dignità, equiparando per la prima volta in più di vent'anni di storia italiana i due istituti contrattuali, calpesta questo ovvio ed elementare principio. E mentre il decreto rispetta la Direttiva 1999/70/CE (pur creando assurdi vincoli che invece di spostare il tempo determinato a tempo indeterminato, rischiano di generare un assurdo e dannoso per tutti "turn over dei 12 mesi"), viola la Direttiva 2008/104/CE.
Lo diciamo in Europa?