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Andrea Morzenti

La selezione del personale e i social network: privacy e dintorni


Il datore di lavoro/recruiter non può presumere che un lavoratore/candidato dia il consenso al trattamento dei suoi dati presenti su un profilo social, solo perché resi disponibili pubblicamente.

Questo non costituisce ambito di trattamento consentito. Serve un legittimo interesse.

Prima di fare ricerche sul profilo social dei candidati, il datore di lavoro deve capire se il profilo è stato aperto per motivi personali o professionali.

In ogni caso, il datore di lavoro può trattare senza consenso le informazioni pubblicamente reperibili dei candidati, solo se è necessario per poter valutare specifici rischi riguardo a candidati per specifiche funzioni e se i candidati sono stati adeguatamente informati (ad es. nel testo dell’annuncio della ricerca).

[parere WP 249 del 8 giugno 2017 del Gruppo di lavoro art. 29, che riunisce i garanti della privacy europei]

 

Questo uno dei contenuti più interessanti del parere del "Gruppo di lavoro art. 29", che contiene le direttive alle aziende da parte dei Garanti privacy UE. Oltre a questo, nel parere del 8 giugno 2017, troviamo anche disposizioni sul monitoraggio sui social network del rispetto del patto di non concorrenza, controllo delle email in uscita (Dlp), sala server, ispezioni della navigazione su internet e fitness.

Cliccando qui potete trovare il testo completo del parere.

Con riferimento alla ricerca del personale i garanti europei ci dicono che, anche se i dati personali "postati" sui social sono pubblici, possono essere trattati (utilizzati) dal recruiter per una ricerca solo se:

  1. necessari per valutare particolari rischi, e

  2. i candidati sono stati informati di questo trattamento (ad es, nell'annuncio di lavoro).

Insomma, sono sì dati pubblici, ma non possono essere posti alla base di una ricerca del personale. Un po' come dire che è vero che sono "messi in piazza" ma il recruiter deve valutare competenze e conoscenze e non altro nella ricerca del candidato ideale, a meno che ricorrano entrambi i punti 1 e 2 sopra riportati.

Novità? Onestamente non mi pare.

Pare piuttosto una traduzione in inglese e un adeguamento da "piazza fisica" a "piazza virtuale" di quanto presente nell'ordinamento giuridico italiano fin dal 1970.

Lo Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) dispone infatti:

Art. 8. (Divieto di indagini sulle opinioni)

E' fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.

Previsione, questa, rafforzata e ancora più dettagliata quando la selezione è operata da un'Agenzia per il Lavoro.

Il Decreto Legislativo n. 276/2003 (Riforma Biagi) prevede:

Art. 10. (Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori)

1. E' fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla eta', all'handicap, alla razza, all'origine etnica, al colore, alla ascendenza, all'origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonché' ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità' di svolgimento della attività' lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività' lavorativa. E' altresì fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.

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